di Paolo Mazzei e Raniero Panfili
Il bombice della quercia, Lasiocampa quercus (Linnaeus, 1758), descritto originariamente nel genere Phalaena Linnaeus, 1758, è una grossa falena appartenente alla famiglia dei Lasiocampidae.
Diffusa in tutte le regioni italiane eccetto la Sardegna, dal livello del mare fino a oltre 2000 m di altezza, è comune ma non è osservabile con facilità come adulto, dato che la femmina è attiva esclusivamente la notte mentre i maschi volano di giorno alla ricerca delle femmine con un volo rapidissimo e non è facile riconoscerli a colpo d’occhio in volo. La larva la si incontra invece con una certa frequenza, dall’autunno fino alla primavera.
Al di fuori dell’Italia questa specie è presente in tutta Europa esclusa la Grecia (dove si trova la congenere Lasiocampa grandis), e si spinge in Asia in Turchia, Kazakistan e gran parte della Russia asiatica.
Ha una sola generazione all’anno, con gli adulti che schiudono tra giugno e settembre. Le uova vengono deposte tra l’estate e l’autunno e schiudono in due o tre settimane e anche oltre, a seconda della latitudine e dell’altitudine.
Le larve trascorrono l’inverno e si alimentano quando la temperatura lo permette, e maturano alla fine della primavera.
Alle quote più elevate in montagna il ciclo può diventare biennale: le larve ancora immature svernano durante il primo inverno, mentre il secondo è passato allo stadio di pupa all’interno del bozzolo, e la schiusa degli adulti, più precoce rispetto alle popolazioni delle quote più basse, avviene tra fine maggio e luglio.
Si tratta di una specie decisamente polifaga: le piante alimentari che si trovano in letteratura sono, tra le altre: Betula, Alnus, Salix, Populus, Ribes, Edera, Rhamnus, Rubus, Spiraea, Malus, Sorbus, Prunus, Trifolium, Calluna, Vaccinium, Andromeda, Ledum, Syringa, Lonicera, Larix e diverse piante erbacee, tra cui parecchie fabacee.
Nell’elenco non è presente il genere Quercus, cioè le querce, nonostante l’epiteto specifico di questa specie sia proprio quercus. Personalmente non ho mai trovato le larve sulle querce, e anche i miei tentativi di alimentarle con le loro foglie in cattività non hanno mai avuto successo, né utilizzando querce decidue né sempreverdi.
E allora perché si chiama così, e perché il nome comune in diverse lingue fa riferimento a queste piante (bombice della quercia, bombyx du chêne, Oak Eggar, Eichenspinner)?
L’edizione inglese di Wikipedia (e anche quella italiana, ma non la francese e la tedesca) spiega che il nome specifico quercus si riferisce al fatto che il suo bozzolo somiglia ad una ghianda, non che la sua fonte di cibo primaria è la quercia, citando tra l’altro ukmoths dove infatti si legge, ad inizio pagina: “Il Bombice della quercia, nonostante il suo nome, non si nutre di quercia, ma si chiama così perché il suo bozzolo ha la forma di una ghianda”.
Ma se andiamo a vedere, nella decima edizione (1758) del Systema Naturae, la descrizione originale di Linneo a pagina 498 e al punto 13, non troviamo nessun riferimento né alla pupa né alle ghiande, solo all’Habitat in Quercu, Betula, Pruno spinosa, come si vede nella foto precedente, da cui si potrebbe dedurre che questa specie si chiama quercus in riferimento al suo habitat.
E allora da dove arriverebbe l’ipotesi che il nome specifico sia legato alla somiglianza del suo bozzolo con una ghianda? Se qualcuno ne sapesse qualcosa, potrebbe per favore contattarci, all’indirizzo email della nostra associazione?
La larva svernante, tra le sue tante piante alimentari, ne ha due di facilissima reperibilità e che conservano le foglie durante l’inverno: sono il rovo e l’edera, che si rivelano quindi ottime anche per allevamenti in cattività.
Gli adulti invece non si nutrono, e la loro vita è quindi di breve durata: giusto il tempo di accoppiarsi e di deporre le uova. L’inattività diurna delle femmine non impedisce ai maschi di trovarle, guidati dal gradiente chimico crescente dei feromoni emessi dalle femmine e captati dalle grandi antenne maschili bipettinate.
Se si porta, nel periodo in cui gli adulti schiudono, una femmina di allevamento ancora vergine all’aperto, è facile che uno o più maschi accorrano per accoppiarsi, come si vede nel video che segue (la femmina è quella ferma, più grande, molto più chiara e con le antenne sottili).
Accoppiamento: video di Raniero Panfili.
Tutte le foto di questo articolo sono attribuite allo specifico autore tramite le iniziali PM e RP e, salvo diversamente specificato, sono state fatte nel Lazio, nelle province di Roma (Rocca di Papa, PM) e Frosinone (Ceccano, RP). Non riportiamo la data delle foto di individui sviluppati in cattività, e quindi in condizioni microclimatiche molto diverse da quelle naturali, perché potrebbero creare confusione con le reali date di apparizione degli equivalenti stadi di sviluppo in natura.
La femmina non depone le uova incollandole alle foglie o ad un substrato, ma le lascia semplicemente cadere, durante il volo o nelle pause di inattività, dove capita: la notevole polifagia delle larve consentirà loro quasi sempre di trovare una pianta alimentare adatta non troppo distante dal luogo di schiusa.
Le uova sono quasi sferiche, lisce, di colore bruno/ocra chiaro marezzate di scuro, con il polo scuro contornato da un anello chiaro.
La larva appena schiusa ha la capsula cefalica nerastra e lucida ed il corpo scuro con riflessi blu e una macchia nera dorso-laterale per lato, ben evidente, tra l’ultimo segmento toracico e il primo addominale.
Dorsalmente è visibile una debole banda longitudinale biancastra, interrotta ad ogni segmento da dei disegni trasversali arancioni. Il corpo è coperto di setole sottili chiare, più lunghe e più scure dal lato del capo.
Dopo la seconda muta, alla terza età i disegni arancioni dorsali e trasversali si riducono ad una linea sottile e sfumata, mentre il bianco prevale. Le setole sono ora più corte e più folte, soprattutto dorsalmente. Cominciano a vedersi gli anelli intersegmentali neri che compaiono anche nella descrizione originale linneana della larva: nigro annulata.
Alla quarta età la morfologia della larva e la sua colorazione sono ormai molto vicine a quelle della maturità: la capsula cefalica si tinge di arancione con una fitta punteggiatura scura, dorsalmente sparisce ogni traccia di arancione e di bianco e la colorazione dorsale dei segmenti corporei varia dal grigio al bruno chiaro.
La quinta età è anche l’ultima, e la larva raggiunge le sue massime dimensioni (fino a 8 cm) prima di trasformarsi in pupa.
Come diverse altre larve di lasiocampidi, anche le larve di Lasiocampa quercus possono risultare irritanti al contatto: niente a che vedere, per fortuna, con i bruchi delle processionarie (Thaumetopoea Hübner, [1820] – Notodontidae), ma, soprattutto in persone con una sensibilità individuale a queste larve, e la cosa è discretamente comune, il contatto può generare un fastidioso prurito che si protrae anche oltre una giornata, e anche il bozzolo può causare lo stesso effetto, essendo realizzato con la seta ma anche con le setole delle larve. Si raccomanda quindi di evitare il contatto con la pelle e ancora di più con gli occhi.
La larva matura si impupa tra le foglie alla base della pianta nutrice o sul terreno, tra i detriti vegetali, al riparo di grosse pietre o all’interno di gallerie o altri nascondigli naturali. Costruisce un bozzolo pergamenaceo compatto e regolare, allungato con le estremità tondeggianti e con l’interno molto liscio.
La foto successiva mostra un bozzolo aperto, in modo da poter vedere la pupa al suo interno.
Spesso le larve che si incontrano in natura sono parassitate: al loro interno si sviluppano larve di ditteri o imenotteri parassitoidi, che si cibano della larva, spesso provocandone la morte prima della trasformazione in pupa, ma a volte la larva matura, con ancora il parassita al suo interno, riesce ad impuparsi, ma dalla pupa sfarfalla una vespa anziché la farfalla, come nella seconda foto, fatta da Raniero Panfili, in cui da un bozzolo di Lasiocampa quercus è nato un imenottero Ichneumonidae del genere Metopius Panzer, 1806.
La morfologia della pupa di questa specie consente agevolmente di determinare il sesso prima della schiusa dell’adulto: a parte alcuni dettagli dell’estremità dell’addome, come già visto nell’articolo di questa rubrica su Daphnis nerii, il maschio si distingue con facilità per gli astucci antennali più spessi ed in rilievo rispetto alla femmina.
Il dimorfismo sessuale in questa specie è molto accentuato: il maschio è più piccolo (55 – 60 mm di apertura alare), nettamente più scuro e con le antenne vistosamente bipettinate. La larghezza della fascia gialla delle ali posteriori è molto variabile, e in alcune popolazioni può essere molto larga e raggiungere il margine dell’ala.
La femmina è più grande del maschio (70 – 80 mm di apertura alare), con l’addome molto più voluminoso alla schiusa, il colore di fondo delle ali molto più chiaro e le bande giallastre molto meno contrastate rispetto a quelle del maschio.
Le antenne, inoltre, non sono bipettinate ma lisce o appena seghettate.
Qualche sito in rete con informazioni e foto su questa specie: