Lycia florentina

di Paolo Mazzei

Lycia florentina (Stefanelli, 1882), descritta dall’entomologo fiorentino Pietro Stefanelli nel genere Biston Leach, [1815], è una specie appartenente ai Geometridae Ennominae.

Si tratta di un subendemismo italiano: infatti, a parte una limitata presenza nelle Alpi Marittime francesi, Lycia florentina abita solo l’Italia peninsulare spingendosi, a nord, fino alle Alpi Liguri e alle Prealpi Venete, e a sud fino alla provincia di Catanzaro; è assente sia in Sicilia che in Sardegna, mentre la presenza in Corsica è dubbia e non recentemente confermata. Si può incontrarla dal livello del mare fino a poco oltre i 1000 m.

Gli adulti sono reperibili da febbraio ad aprile, eccezionalmente da fine gennaio, e fino a maggio alle quote più elevate. La larva è polifaga e si nutre soprattutto di leguminose (Fabaceae), tra cui Genista, Spartium, Trifolium, Hedysarum, Onobrychis, e predilige in particolare l’erba medica (Medicago sativa); è citata anche sui convolvoli. La femmina ha ali rudimentali non adatte al volo, ricoperte di setole bianche, mentre il maschio è alato ed è attratto dalle luci artificiali.

Femmina adulta, Morena, Roma, 16 febbraio 2022.

Questa storia comincia il 10 maggio 2021, a Morena, periferia sud di Roma poco al di fuori del Grande Raccordo Anulare, dove ho il mio ufficio. All’ora di pranzo faccio sempre, e facevo anche allora, due passi a piedi su un percorso pedonale e ciclabile che costeggia un grande terreno (quattro ettari e qualcosa), circondato dalle case: quello che si vede nella prima foto, scattata appunto in quella data.

E la foto l’avevo fatta perché, ai margini del terreno e anche sulla pista ciclabile, c’erano decine di larve di Lycia florentina, alle due ultime età, molte schiacciate sul cemento, qualcuna arrampicata sulla rete di confine: se ne vedono due per terra nella seconda foto.

[Edit_2023.05.11] Oggi, 11 maggio 2023, costeggiando il solito terreno, ho visto, sui bordi, decine di larve all’ultima età cibarsi con gusto di artemisia comune (Artemisia vulgaris L., 1753), che va aggiunta senza alcun dubbio alle piante alimentari di questa specie (terza foto, purtroppo scattata alla meglio).

Presi qualche larva e provai ad allevarle, ma morirono pochi giorni dopo, e ne trovai tante morte anche dove le avevo trovate, come se ci fosse stata una disinfestazione di qualche tipo (ad esempio per la zanzara tigre, purtroppo molto abbondante a Morena), o qualche agente patogeno che le stava facendo fuori in gran numero.

L’anno successivo, all’inizio di febbraio, con la vegetazione nel prato ancora molto più bassa, feci particolare attenzione per vedere se mi capitava di vedere, nello stesso posto, qualche femmina della stessa specie, e la mia ricerca ebbe successo: il 9 febbraio 2022 vidi la prima femmina, arrampicata sulla recinzione di confine, con l’ovopositore estroflesso, intenta a richiamare chimicamente i maschi (quella della seconda foto, brutta perché fatta col telefonino, è di qualche giorno dopo, ma l’attività in corso è la stessa).

Presi quattro femmine che, a giudicare dalle dimensioni dell’addome, non avevano ancora deposto le uova, e le misi in un piccolo contenitore di plastica trasparente con della carta cucina sul fondo e qualche foglia verde, mentre allestivo per loro un bel terrario grande, con qualche zolla da cui nascevano piante erbacee, e diverse cortecce e vecchi pezzi di legno scavati da insetti saproxilici.

Nel frattempo scattai qualche foto ad una delle femmine che si muoveva appena rimanendo sempre sul bordo del contenitore, dopo aver deposto un singolo uovo su una foglia (prima foto). Girando il contenitore, l’attività della femmina è risultata chiara (seconda foto): con l’ovopositore aveva deposto, tra la carta e il contenitore, qualche centinaio di uova.

Una volta capita la preferenza per anfratti e fessure strette come luogo di deposizione, aggiunsi nel terrario pietre piatte a contatto, oltre alle cortecce e ai pezzi di legno, per aumentare le possibilità di deposizioni nascoste, e in effetti le femmine gradirono: eccone una all’opera, con l’ovopositore all’interno di fori nel legno (prime due foto) e le altre tre che depongono nel legno tutte insieme (terza foto).

Uovo

Ed ecco anche le uova, in questo caso deposte tra le pietre piatte, ma la maggior parte erano state deposte all’interno di fori e camere nel legno, più difficili da fotografare.

Sono di un bel verde brillante, ovoidali, lucide ma con la superficie rugosa, e incollate l’una all’altra fino a formare un ammasso compatto e difficilmente divisibile senza correre il rischio di danneggiarle, come si vede nella terza foto, realizzata scoperchiando una cavità all’interno di una corteccia che era stata letteralmente riempita.

Riportai al prato di raccolta sicuramente più di 300 uova, oltre alle quattro femmine, e ne tenni una decina per seguire lo sviluppo in cattività.

Lo stadio di uovo dura un paio di settimane, anche qualcosa in più se la temperatura è bassa (siamo a febbraio…), mentre in casa schiudono in una decina di giorni.

Larva L1

Le larve appena nate sono nere, con delle macchie bianche, due dorsali e due laterali rotondeggianti, più grandi ed evidenti, e altre molto più piccole su ciascun segmento, disposte in senso trasversale intorno al corpo.

Anche la capsula cefalica e le zampe sono nere.

Spesso si sospendono alla foglia o al rametto su cui si alimentano per mezzo di un filo di seta, lungo anche diversi centimetri, e rimangono appese per tempi anche lunghi, soprattutto durante la notte, probabilmente per sfuggire ai predatori.

Larva L2

Alla seconda età le larve sono ancora parecchio scure, ma la capsula cefalica comincia a mostrare dei disegni, parte delle macchie bianche laterali virano al giallo e la colorazione dorsale si arricchisce di macchiette chiare che si allineano in senso longitudinale a formare degli accenni di linee, con macchie più definite al centro di ogni segmento.

La colorazione ventrale rimane invece nera uniforme.

Larva L3

Dalla terza età in poi la colorazione cambia poco: dorsalmente e lateralmente il colore di fondo è grigiastro, con alcune macchie gialle dorsali simmetriche (in particolare una coppia più evidente per ogni segmento) e una gran quantità di punti neri più o meno allineati che si infittiscono e diventano più grandi scendendo sui lati, fino a formare un accenno di banda longitudinale leggermente più scura a contatto con le bande chiare latero-ventrali gialle e bianche.

Ventralmente il colore è quasi nero, tranne una banda longitudinale al centro più chiara. La capsula cefalica è biancastra con punti neri.

Larva L4

Alla quarta età la larva raggiunge il massimo delle dimensioni, ma il pattern rimane sostanzialmente quello dell’età precedente, salvo la colorazione ventrale scura che si riduce a due bande latero/ventrali a volte molto sottili, e il colore di fondo, sia dorsale che della fascia centrale chiara ventrale, può assumere una tonalità gialla ben evidente (seconda foto).

Pupa

La pupa si forma sottoterra, in una celletta costruita con un po’ di seta a 5 – 10 cm di profondità nel terreno: le ho estratte dalla terra per poterle fotografare.

Nella prima foto una pupa femminile (più grande) e una maschile viste dorsalmente, poi la femmina e il maschio, separati, in visione ventrale.

Da notare che anche la femmina, nonostante abbia, una volta sfarfallata, ali estremamente ridotte, presenta degli astucci alari completi, come se dovessero contenere delle ali sviluppate come quelle del maschio: questa è una caratteristica comune alla maggior parte, se non tutte, le specie di geometridi con femmine microttere.

In alcune specie di altre famiglie, invece, le pupe femminili hanno astucci alari decisamente ridotti: a titolo di esempio, maschio (in procinto di sfarfallare: ben visibile il pattern alare) e femmina di Cymbalophora rivularis (Ménétriés, 1832), Erebidae Arctiinae.

Adulto

Ed ecco gli adulti, prima di tutto il maschio, visto che della femmina abbiamo già parlato. Gli adulti, come già visto, compaiono in inverno, dalla fine di gennaio a basse quote; i maschi sono attratti dalle luci artificiali e volano anche con temperature molto basse, di poco superiori allo zero.

La seconda foto, che mostra un maschio in tanatosi, cioè che “fa il morto” essendo stato disturbato, ci fa vedere chiaramente gli elementi in comune tra il maschio e la femmina, ali a parte: l’addome scuro, coperto di setole rade, le zone tra i segmenti addominali giallastre, e le setole chiare e allungate alla base delle ali.

Le antenne invece sono molto diverse: filiformi quelle delle femmine, profondamente bipettinate quelle dei maschi, per captare anche a notevole distanza i richiami chimici della femmina.

La femmina, appena sfarfallata, si arrampica sul primo supporto che le capita a tiro (una pianta bassa, una roccia esposta, un tronco d’albero), raggiunge la sommità o comunque un punto esposto, estroflette l’ovopositore ed emette i suoi feromoni, estremamente volatili e percepibili dai recettori situati in gran numero sulle antenne dei maschi, anche in quantità molto piccole e da notevoli distanze.

Sia il maschio che la femmina non si nutrono: il maschio, se è fortunato, si accoppia, e muore dopo pochi giorni, la femmina fecondata depone le uova e dura, utilizzando le sue riserve corporee, una settimana o poco più.