Brithys crini

di Paolo Mazzei

Brithys crini, descritta nel genere Bombyx da Johan Christian Fabricius nel 1775, è una specie appartenente alla famiglia Noctuidae, presente in Italia solo sulle coste e distribuita negli ambienti dunali e retrodunali della parte più occidentale del Mediterraneo, in qualche località greca e in buona parte dell’Africa subsahariana, incluso il Madagascar e le isole di Mauritius e Reunion.

Ci sono opinioni diverse sul fatto che il taxon pancratii, descritto da Cyrillo nel 1787 (località tipica: Napoli) sia una buona specie, una sottospecie di Brithys crini o semplicemente un sinonimo di quest’ultima: entrambi gli epiteti crini e pancratii, comunque, testimoniano la predilezione delle larve della nostra farfalla per la famiglia delle Amaryllidaceae a cui appartengono sia il genere Crinum che il genere Pancratium. Nonostante questa specie accetti, in cattività, diverse altre amarillidacee, come ad esempio i crochi e i narcisi, in Italia e nel Mediterraneo questa specie è legata al cosiddetto giglio di mare, Pancratium maritimum, che più che un giglio è in realtà un amaryllis.

Visto il legame così stretto tra farfalla e pianta, prima di entrare nei dettagli del ciclo della farfalla, preferisco dare qualche informazione sulla pianta: Pancratium maritimum, diffuso sulle dune costiere di tutt’Italia con l’eccezione del Friuli-Venezia Giulia, è protetto nel Lazio, Molise, Basilicata e Calabria da leggi regionali che ne vietano la raccolta e la detenzione ingiustificata.

Spiaggia di Psili Ammos, Serifos, Cicladi, Grecia.

Dune di Passoscuro, Roma.

Questa pianta ha un bulbo come organo perennante, dal quale ogni anno nascono foglie e fiori: le foglie compaiono di norma insieme alle prime piogge di fine estate e si seccano con il caldo secco di giugno – luglio, quando la pianta comincia a fiorire e continua fino a settembre.

Spiaggia di Psili Ammos, Serifos, Cicladi, Grecia.

Nelle località più calde e nelle estati poco piovose i fiori spuntano dalla sabbia e si aprono quando le foglie sono già completamente secche.

Spiaggia di Psili Ammos, Serifos, Cicladi, Grecia.

Spiaggia di Psili Ammos, Serifos, Cicladi, Grecia.

Spiaggia di Psili Ammos, Serifos, Cicladi, Grecia.
Foto di Ghila Zoutter.

Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno i semi, grandi, neri, di forma irregolare e molto leggeri, cadono dalle loro capsule.

In acqua galleggiano, e vengono trasportati dal mare su altre spiagge, diffondendo così la pianta.

Brithys crini ha diverse generazioni continue e sovrapposte tra maggio e ottobre, e alla fine dell’estate non è difficile incontrare contemporaneamente, sulla stessa spiaggia, adulti, uova e larve di tutte le età.

La femmina depone le uova a gruppi, sulle parti verdi della pianta: pagina superiore o inferiore delle foglie, steli florali, capsule dei semi in formazione.

Le uova appena deposte sono di una tonalità giallo limone uniforme, senza disegni, come nella foto precedente.

Nei giorni successivi il giallo si scurisce leggermente e compaiono una macchietta rossastra sulla sommità di ogni uovo e una cintura ugualmente rossastra alla base. Le uova che rimangono di colore giallo uniforme non sono fecondate.

Ciascuna deposizione comprende abitualmente tra 25 e 100 uova, ma si incontrano anche gruppi più numerosi, come quello della foto successiva, in cui si contano 123 uova.

Dalla deposizione alla schiusa della larvetta di prima età passa più o meno una settimana, ma il tempo di sviluppo dipende dalla temperatura, ed è tanto più veloce quanto più fa caldo. Le uova di uno stesso gruppo schiudono insieme o a distanza di poco tempo l’una dall’altra.

La larva appena nata è giallastra con la capsula cefalica scura, una placca dorsale scura dietro la testa ed è scura anche la zona anale. Rimane visibile per poco tempo, perché si infila rapidamente all’interno della foglia.

Nella prima foto successiva si vedono chiaramente, in alto, le uova già schiuse e, in basso, numerosi fori di ingresso fatti dalle larve, appena uscite dall’uovo, nella cuticola fogliare. Per vederle all’interno della foglia in trasparenza, è sufficiente illuminare la foglia in controluce (seconda foto): si evidenziano così una quindicina di larve, alcune che condividono la stessa galleria, come le tre in basso a sinistra.

Alla seconda età la capsula cefalica è ancora nera, ma in ogni segmento compare una banda trasversale più scura e le parti più chiare assumono un leggero aspetto reticolato.

La larva si nutre sia all’interno delle foglie che all’esterno.

La colorazione delle larve di terza età non è molto diversa da quelle di seconda età, ma l’ornamentazione del corpo è più definita e contrastata, e soprattutto la capsula cefalica si schiarisce e diventa marrone-rossastra, con due macchie scure frontali.

Alla quarta età la colorazione delle larve è quasi uguale a quella delle larve di quinta e ultima età, cioè delle larve mature, tanto che, se le vediamo insieme sulle stesse foglie, si distinguono soprattutto per le dimensioni.

Nelle larve mature l’ultimo segmento del corpo, lato anale, è leggermente più rossastro rispetto alla precedente quarta età e la porzione basale delle tre paia di zampe anteriori è rossastra e non scura come alla quarta età.

Spesso, anche alle ultime età, le larve di questa specie si nutrono e si riparano all’interno delle foglie: ecco due larve, presumibilmente all’ultima e penultima età, illuminate dall’alto e in controluce, dentro una foglia di Pancratium maritimum.

Le larve, a tutti gli stadi, prediligono le foglie ma possono cibarsi senza problemi di tutte le parti verdi della pianta, inclusi gli steli florali, nella foto precedente, e le capsule in formazione che conterranno i semi, nella foto successiva.

L’eventuale allevamento in cattività delle larve di questa farfalla, nelle regioni dove la sua pianta alimentare non è protetta, richiederebbe comunque la raccolta di foglie da parecchie piante diverse, dato che le piante di discrete dimensioni sono l’eccezione più che la regola: la pressione antropica e il calpestio delle dune sabbiose dove la specie vegetale cresce ne limitano fortemente la diffusione, e purtroppo la specie tende a scomparire dalle nostre spiagge più frequentate: spesso le dune con una buona presenza di Pancratium maritimum appaiono come nella seconda foto.

Non solo, oltre alla minaccia dovuta alle attività umane, la specie risente anche dell’introduzione di specie invasive, come i Carpobrotus, che ricoprono velocemente le dune soffocando i nostri poveri gigli di mare (terza foto).

E quindi si consiglia caldamente di non raccoglierla, neanche in piccole quantità, tanto più che la sua coltivazione, dove consentita, non è facilissima e richiede cure e accortezze specifiche.

Come si potrebbe fare, allora, per allevare Brithys crini ?

La soluzione si chiama Amaryllis e Hippeastrum: sono Amaryllidaceae grandi e dai fiori molto vistosi, il primo genere di origine sudafricana e il secondo proveniente dall’America meridionale, entrambi presenti e comuni nei vivai che forniscono piante ornamentali e spesso confusi tra loro, ma entrambe graditi ai nostri bruchi.

Le piante sfiorite vengono vendute comunemente, a fine estate, a prezzi stracciati, ed è facile procurarsene una buona quantità per quattro soldi, e, se ben tenute, quelle che sopravvivono agli allevamenti daranno fiori stupendi l’anno successivo.

Ecco le larve sulle foglie di Amaryllis, a differenti età. Nella terza foto, fatta al volo col telefono e purtroppo si vede, due larve sul bulbo dopo aver consumato tutte le foglie.

In assenza di foglie, infatti, le larve si introducono all’interno del bulbo, molto superficiale trattandosi di pianta in vaso, e lo scavano completamente dall’interno, facendo morire la pianta. Se si desidera conservarla per farla rifiorire, si consiglia di allevare le larve in un contenitore a parte fornendo foglie tagliate secondo necessità, preservando così la vitalità del bulbo.

Le larve in natura sono spesso vittima di parassitoidi, in particolare di ditteri appartenenti alla famiglia dei Tachinidae.

Sulle dune costiere di Torre Flavia (Cerveteri, Roma), a metà ottobre 2019, quasi la metà delle larve alle due ultime età portavano, aderenti al corpo, uova di tachinidi, da cui sarebbe uscita la larvetta della mosca che avrebbe forato la pelle del bruco per cibarsi dei suoi tessuti senza provocarne la morte prima della fine del suo ciclo: nella prima foto si vede un uovo non ancora schiuso, nella seconda addirittura quattro. Le uova sono letteralmente incollate alle pelle del bruco ed è difficile staccarle senza provocare danni all’ospite.

Ed ecco la mosca in azione, mentre tenta di salire sul bruco per deporre le uova. La larva della nostra farfalla non ha grandi difese contro il parassitoide, se non cercare di scacciarla dimenando con forza la parte anteriore del corpo ogni volta che la mosca si avvicina, ma questa contromisura non è particolarmente efficace.

L’unica sua speranza di salvezza è che l’uovo venga deposto poco prima della muta del bruco, e che quindi rimanga attaccato, all’atto della muta, alle spoglie della vecchia cuticola, senza poter più nuocere.

Nella foto precedente la larva grande a destra è in muta verso l’ultima età, e porta due uova di tachinide. La larva più piccola a sinistra è alla seconda età.

Per impuparsi la larva si infila sotto la sabbia e, raggiunto un terreno un po’ più compatto ad una profondità di una decina di centimetri o poco più, costruisce un bozzolo di terra che consolida con la sua seta. Le due foto successive mostrano la pupa, portata in superficie dopo averla estratta dal suo bozzolo, la prima ventralmente e la seconda dorsalmente.

Gli adulti sfarfallano dopo un paio di settimane, anche qualcosa di meno nel periodo più caldo dell’estate. Sono decisamente poco variabili come colorazione, con le ali anteriori assai scure e le posteriori, che nella posizione a riposo non si vedono, di un bel bianco latte.

Esiste anche una forma decisamente più chiara, che Patrice Leraut, nel volume 5 di “Papillons de nuit d’Europe – Noctuelles 1”, pubblicato nel 2019, considera appartenente alla specie Brithys encausta (Hübner, 1808). Ma questa forma compare anche da ovature deposte da femmine scure, e dallo stesso gruppo di uova, trovate sulla costa laziale da Diego Reggianti all’inizio di autunno del 1992, sono schiusi sia adulti chiari che scuri, e uno degli adulti chiari è visibile sull’ultima foto di questa serie, purtroppo una acquisizione di una vecchia diapositiva, ma di qualità più che sufficiente per apprezzarne la colorazione.

Non solo, nella pagina di lepiforum.org relativa a questa specie Egbert Friedrich mostra degli adulti sia chiari che scuri provenienti da larve trovate su Pancratium maritimum il 22 maggio 2010 nel Peloponneso, a Kounoupeli (a SO di Patrasso e a N di Varda).

Forma chiara, foto di Diego Reggianti, costa laziale, autunno 1992.