Papilio alexanor

di Andrea Baruzzi e Carlo Caimi

Papilio alexanor è stato descritto da Esper nel 1800 su esemplari catturati nei dintorni di Nizza, capoluogo del dipartimento delle Alpi Marittime; l’areale di distribuzione di questo papilionide comprende un arco che va dal sud est della Francia al nord ovest dell’Italia (Alpi Marittime e zone limitrofe della Liguria); citato per alcune località della Calabria e Sicilia (ma con presenze da riconfermare), prosegue poi attraverso una linea di distribuzione che tocca le coste balcaniche del Mediterraneo (Croazia ovest), l’Albania, la Grecia continentale ed insulare, fino alla Turchia, Israele, Libano, Giordania, Iraq, Iran, e, ad est, nella zona Transcaucasica, Turkmenistan, Uzbekistan, sud Kazakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan e parte ovest del Pakistan. All’interno di questo areale di distribuzione, laddove le condizioni ambientali ne permettono lo sviluppo, è presente dal livello del mare (Grecia e Turchia) fino ai 3000 m nelle popolazioni più orientali.

È protetto a livello europeo ed inserito nella Direttiva Habitat 92/43/CEE, Allegato IV (specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa).

In Italia è presente in colonie, separate ed isolate, in alcune valli del Cuneese, del Torinese ed in Liguria nella provincia di Imperia. Nelle colonie piemontesi ha un areale di diffusione di tipo pedemontano e montano (dai 700 m sino a 1.500 m), mentre in quelle liguri è distribuito ad altitudini che vanno dai 50/100 m sino a 1.300 m.

L’ambiente del P. alexanor è tipicamente xerotermico, arido e di norma povero di vegetazione alta, con presenza delle piante nutrici della larva, esclusivamente ombrellifere (Apiaceae), tra le quali si annoverano Ptychotis saxifraga (L.) Loret & Barrandon, Pastinaca sativa L., Opopanax chironium (L.) W.D.J. Koch e Opopanax hispidus (Friv.) Griseb., Trinia glauca (L.) Dumort., Ferula sp., Ferulago sp., Pimpinella sp.

Nelle popolazioni piemontesi, è infeudato su Ptychotis saxifraga, esile apiacea, che raramente supera il metro di altezza, presente sui pendii di roccia calcarea, mentre nelle popolazioni liguri predilige l’Opopanax chironium, ombrellifera che raggiunge anche i 2 metri e più di altezza, con grandi quantità di infiorescenze, presente sia in aree secche ed assolate che in zone più ombreggiate ed umide.

Papilio alexanor si nutre preferibilmente dei fiori e dei semi in via di maturazione; nel caso della Ptychotis saxifraga spesso non disdegna, dopo aver esaurito le parti della pianta sopra descritte, di roderne anche la corteccia.

La ricchezza di apporto nutritivo della Opopanax chironium consente, anche a più bruchi, di non abbandonare la pianta originaria, con la possibilità di compiere tutto lo sviluppo sulla medesima.

Altre segnalazioni di piante nutrici, nelle popolazioni italiane, meritano uno studio approfondito. In passato la Ptychotis saxifraga è stata confusa da molti autori “classici” con il Seseli montanum L. e con la Trinia glauca.

Per quanto riguarda le popolazioni dell’Italia meridionale, attualmente non confermate da dati recenti, sarebbe necessario un approfondito lavoro di ricerca, legato prima di tutto all’individuazione di aree ambientali compatibili con le piante nutrici (probabilmente Opopanax chironium e Ferula sp., in quanto la Ptychotis saxifraga ha una distribuzione prettamente montana e pedemontana).

Papilio alexanor è una farfalla univoltina con periodi di volo differenti. In Piemonte è normalmente in ala da metà giugno sino a fine luglio, mentre in Liguria è possibile vederlo volare già da metà maggio ed in quota sino ai primi di luglio. Questa fenologia è probabilmente legata alla pianta nutrice ed al suo ciclo vegetativo. Ptychotis saxifraga è in fiore da metà/fine giugno sino ad agosto inoltrato, mentre Opoponax chironium è in fiore già ai primi di giugno e, di norma, a metà luglio è già in fase di appassimento.

Lasciando all’aspetto fotografico la visione dell’adulto, si può affermare che non vi siano vistose differenze cromatiche tra maschio e femmina. Il maschio si differenzia per un colore di fondo maggiormente acceso e soprattutto per le minori dimensioni rispetto alla femmina.

Accoppiamento: femmina a sinistra, maschio a destra.

La femmina del Papilio alexanor depone le uova in prossimità degli apparati floreali, di norma nel bocciolo o sul fiore stesso delle piante se già presente. Al momento della deposizione, le uova (sferiche e lisce) hanno un colore azzurro/verde, che vira ad un giallo chiaro nelle 24 ore successive alla deposizione. Esso diventa più scuro man mano che l’uovo matura, sino a diventare semitrasparente in prossimità della schiusa.

Le uova schiudono tra i 5 e gli 8 giorni dalla deposizione, in base alla temperatura ambientale.

Le larve sono particolarmente eliofile, preferendo rimanere in pieno sole anche nelle ore più calde, differentemente da quanto accade per il Papilio machaon (i cui bruchi nei momenti più caldi cercano riparo verso la base della pianta nutrice).

Al momento della schiusa, le larve di primo stadio sono di un colore grigio/verde scuro.

Al secondo stadio, hanno una colorazione che vira maggiormente al giallo/verde chiaro.

Al raggiungimento del terzo stadio, assumono una colorazione molto vistosa, giallo intenso con picchiettatura nera.

In tutti e tre i primi stadi sono presenti tubercoli dotati di peluria, maggiormente evidenti in L1 e L2, meno pronunciati in L3.

Con il passaggio a L4, diventano glabri ed evidenziano la colorazione “tipica”: bianchi con striature nere e punti arancio/giallo nella zona dorsale, con i tubercoli appena percettibili.

La muta da L4 a L5, stadio finale del bruco, non modifica i colori di fondo, ma il bruco si distingue per un bianco candido con le striature nere ed i punti arancioni/giallo ocra ancora più in risalto. Esso è completamente liscio. Come tutti i papilionidi, il bruco è dotato di osmeterio estroflettibile, in questo caso di colore arancio intenso ed emanante il tipico odore acre.

Papilio alexanor sembra essere molto meno soggetto all’attacco dei parassiti rispetto al macaone, pur condividendo, a volte, lo stesso habitat e addirittura la stessa pianta nutrice. Nella foto uno dei rari casi di parassitismo a scapito del Papilio alexanor.

Lo sviluppo del bruco varia a seconda della pianta nutrice; quelli su Ptychotis possono impiegare anche 23/26 giorni per portare a termine lo sviluppo, …

… mentre quelli su Opopanax compiono tutte le fasi in un intervallo molto più corto, 18/20 giorni al massimo. Probabilmente questa differenza è legata sia al differente apporto nutritivo delle due apiacee sia alle differenti condizioni climatiche ed alle temperature medie nelle aree di sviluppo.

Giunto a sviluppo completo, in prossimità della ninfosi, il colore di base vira ad un rosa/viola chiaro. Comincia così la fase – spesso frenetica – di ricerca del supporto dove compiere la metamorfosi.

La prepupa è caratterizzata da una cinta sericea, come negli altri papilionidi, ma a differenza delle congeneri presenti in italia, questa specie predilige impuparsi in mezzo alle rocce selezionando quelle che, anche in presenza di copiose nevicate invernali o di piogge primaverili, non permettano il ristagno.

Il mimetismo della crisalide è perfetto e, come riportava il Verity, “Somiglia ad una scheggia delle pietre, sotto le quali è appesa”.

Papilio alexanor trascorre l’inverno come crisalide e spesso può anche svernare per più inverni.

Piccola nota curiosa, Papilio alexanor riposa normalmente ad ali aperte, con le antenne parallele, ed è possibile, con un poco di fortuna, fotografarlo la mattina presto o la sera tardi nelle zone di volo, come in posa per la foto perfetta.

I maschi pattugliano la zona di riproduzione in maniera continua, non sembrano portati né all’hilltopping né al perching, ma volano in modo deciso ed energico avanti e indietro, non disdegnando “battaglie” con i rivali della stessa specie come anche con macaoni e podaliri che dovessero passare in zona. La femmina è solita invece planare e volare in modo più tranquillo.